good and grounded


Dicembre 2512, Tulsa, Bullfinch.

- Vorrei che ma' potesse essere qui.
Sybil glielo sospirò sulla nuca mentre le acconciava i capelli bruni - un tratto genetico che tutti i Bernard avevano in comune, anche quelli acquisiti. Neanche venticinquenne, era l'unica il cui stipendio (scarso, ma quantomeno in dollari alleati) aveva permesso di pagarsi un viaggio fino all'altro capo del 'Verse per il matrimonio di sua sorella. 
- E Rick, anche.
- Ai matrimoni non ci crede.
- Non ci credevi neanche tu, l'ultima volta che ne abbiamo parlato.
- Non sarebbe comunque riuscito a venire.
- Con un po' più di preavviso, forse...
Jules lasciò che il rimprovero cadesse nel vuoto, e quando la testa seguì il movimento evasivo degli occhi, di lato, una delle forcine che Sybil le stava infilando nei capelli la punse. Il suo vestito era appeso alla luce, di fronte alla finestra. Candido, pieno di ricami e di merletti, era fatto di tessuti troppo leggeri per un matrimonio invernale.
- Sei incinta?
Jules trasalì, la stessa forcina la ferì di nuovo. Sybil le premette i polpastrelli sulle tempie con più energia, costringendola all'immobilità mentre provava a rinsaldare l'elaborata treccia arrotolata sulla nuca che Clem aveva loro insegnato per le occasioni speciali, sempre con scarsi risultati.
- Fock no?
- Di solito i matrimoni si fanno in primavera. E avete organizzato tutto in... un mese, un mese e mezzo?
- Non sono incinta.
- Alrite, alrite...
Rimasero in silenzio per un po'. Nonostante fosse inverno il sole era così caldo che avevano deciso di lasciare la finestra aperta e godersi l'aria tiepida del primo pomeriggio. Jules sospirò.
- E' stato... come vivere sospesa, da quando... da Jimmey. Lo sai. Non ho più l'età. Voglio sentirmi stabile. Bastian mi fa sentire stabile. 
Sybil soffio tra le labbra morbide un sorriso divertito. Tra tutti i Bernard, era quella che più somigliava fisicamente a Frank, piuttosto che a Clem: aveva una bocca larga e morbida, gli zigomi bassi. Le linee degli occhi disegnavano curve larghe e morbide.
- Cosa?
- Niente. Non ricordo tu abbia mai voluto 'stabilità', da quando ti conosco.
- Le cose cambiano.
Nel momento esatto in cui lo disse, se lo chiese anche: cambiano? Si rigirò all'anulare sinistro l'anello di fidanzamento che portava da poche settimane. I granuli di diamanti appena visibili formavano il disegno impreciso di un fiore: era tutto ciò che era riuscito a comprare con i soldi che guadagnava, e si erano comunque ripromessi di rivenderlo appena sposati, mettendo poi il ricavato nel fondo che avrebbero usato per costruire una casa. Avevano individuato anche il fazzoletto di terra su cui l'avrebbero edificata, appena a due miglia dai confini del Rose Ranch, dove lavoravano entrambi. Da un certo momento in poi (e lei stessa non avrebbe saputo dire quando) l'idea di lavorare dieci ore al giorno per poi tornare ogni sera nello stesso posto, davanti allo stesso camino e nelle stesse braccia, non le era sembrata più così terribile.
- Sei riuscita a sentire ma', di recente?
- Un paio di mesi fa. Dice che con i soldi che le mandiamo se la cava ai mercati degli spazioporti, ma che nel resto di Stathmore il denaro ormai non vale più niente. Dice che sta bene, tutto considerato.
- Le ho scritto almeno cinque lettere da quando sono qui, per convincerla a lasciare quel buco di merda.
- Hexham è casa.
- E' sempre stata un buco di merda e dopo i bombardamenti non è più un cazzo. L'angolo più fottuto di Bullfinch lo preferirei a Hexham nel migliore dei suoi giorni. Potrebbe vivere qui a Tulsa.
- Lo sai com'è, ha il cuore a Hera. Nelle fabbriche.
- Le fabbriche non ci sono più. 
- Ma lei c'è.
- Potresti anche tu.
- Cosa?
- Venire a stare qui. La madre di Bastian ti ospiterebbe, e con la testa che hai potresti trovare un lavoro in un attimo... anche al Rose Ranch. Brandon si occupa delle trattative commerciali, viaggia di continuo, anche fuori dal pianeta. Posso chiedergli se riesce a trovare un posto anche a te, che hai studiato.
La più piccola sorrise in maniera sfuggente e non rispose. Jules insistette.
- E potremmo convincere anche Rick. 
- Ti adoro, Julie, lo sai. Ma se anche riuscissi a radunare nello stesso posto tutti i Bernard rimasti sulla faccia di questo 'Verse, mancherebbe comunque sempre qualcuno.
Sybil le diede un bacio tiepido sulla tempia e le incastrò uno specchio davanti al naso, perché potesse osservarsi l'acconciatura completa. Lei alzò il capo, ma aveva già una traccia opaca nello sguardo (la minaccia di fantasmi che allora stavano ancora, lentamente maturando). 
- Ti piace?
- Sì. Sì, mi piace.

go go go

Hexham, Hera, 6 Ottobre 2502

- E' una buona idea.
Se Richard stesse provando a convincere sua sorella o se stesso non era chiaro.
- Andrà bene.
Avevano il passo oscillante di tutti gli operai esausti che tornavano a casa a quell'ora dopo aver bevuto almeno un paio di pinte: lento e impreciso perché se lavori dalle sei della mattina alle sei della sera sei sempre stanco, ma non hai voglia di tornare a casa tua per addormentarti e, il giorno dopo, riniziare daccapo. Richard di certo non ne aveva voglia, e sua sorella minore - che aveva diciott'anni e nel circuito delle fabbriche c'era entrata solo poco più tardi di lui - non sembrava neanche lei apprezzare in maniera particolare la catena di montaggio.

Lei annuì, ma senza guardarlo. Jules non era mai stata una persona da tante parole, e forse per questo quelle rare volte in cui parlava tutti si azzittivano per ascoltarla. Ma non quella sera. Andrà bene, lui l'aveva ripetuto per ore, per decine di sigarette fumate e distribuite l'una dopo l'altra attorno al tavolo che Sean riservava sempre per loro nella bisca del suo locale. Ognuno si era espresso - addirittura Fred già ubriaco a inizio serata, e poi quell'Alan, l'uomo del mistero, che veniva da chissà quale angolo del pianeta (Fiona diceva dalle Highlands) e si guadagnava da vivere chissà come, Alan che aveva la voce di un fiume in piena, la stessa potenza travolgente (e guardava sua sorella strano, per questo Richard lo odiava).
- Arriviamo mezz'ora prima e quando arrivano tutti sbarriamo i cancelli e ci incateniamo all'ingresso, e diciamo che i cancelli della fabbrica non aprono finché non ricevono la nostra delegazione, e nessuno lavora finché Reyes non fa l'accordo sui turni, e...
Parlava a bassa voce e aveva l'impressione che sua sorella non lo ascoltasse. Quando svoltarono per uno dei centinaia di vicoli senza nome di Youngstown, sentì la mano fresca di Jules prenderlo per il collo del cappotto e strattonarlo indietro. Lui dondolò all'indietro e le spinse contro uno sguardo annacquato e interrogativo. La osservò: sembrava quasi annusasse l'aria. Lui irrigidì ogni singolo muscolo nel silenzio, tentando di spazzarsi via l'alcol dal cervello.

Il passo successivo lo sentirono entrambi, e tagliò loro il fiato nella gola. 
- Vai vai vai.
Richard le afferrò le spalle e la spintonò nello spazio sottile che separava due case basse di argilla e mattoni, mentre lo sguardo inquieto rimbalzava tra i tre picchiatori che confluivano verso di lui da direzioni diverse. Vai vai vai, Jules strisciò tra i due muri all'indietro con il cuore che le esplodeva nel petto e lo scorcio di macchie scure che risucchiavano suo fratello in un vortice di botte e ossa spezzate.

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Oak Town, Greenfield, 8 Gennaio 2517

Vai vai vai, Jules corre nella neve lasciando al centro della Main Street un ammasso di botte e ossa spezzate. Si toglie il passamontagna solo quando ha ormai raggiunto il cavallo e resiste alla tentazione di spronarlo al galoppo. Ma gli mormora sulla criniera vai vai vai, col cuore che le esplode nel petto e i polsi che le tremano violentemente. Riprende a respirare solo un paio di miglia più avanti, quando si immette in una delle principali direttrici che portano ai ranch e ai campi. Lì incontra carri colmi di braccianti, cowboy, decine di capi di bestiame in transito. Vai, vai, vai mormora sulle pasticche che manda giù. Poco dopo il cuore è calmo e lei è pronta a iniziare una giornata di duro lavoro.

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Hexham, Hera, 7 Ottobre 2502

Non c'erano mai stati segreti a Youngstown, e che il maggiore dei Bernard era stato pestato a sangue fu una notizia che si diffuse piuttosto rapidamente davanti ai cancelli della fabbrica, poco prima dell'apertura. Fred (che all'alba era sempre già ancora ubriaco dalla sera prima) aveva scalciato sul posto mentre Alan provava a trascinarlo nella sua ottima oratoria - una volta tanto, con scarsi risultati -. Quando Jules arrivò, la folla le si aprì di fronte con un sospiro di stupore. Sembrava più alta, e anche se aveva il capo chino era difficile non notarle addosso il labbro spaccato. I ragazzi le si raccolsero attorno. Come sta? Eravate insieme? Chi cazzo è stato? E' stato Reyes, non è così? Lei aprì la bocca e tutti si zittirono.
- L'hanno operato perché sanguinava dentro per tutta la notte, l'hanno richiuso due ore fa... dicono che se domani si sveglia è andato tutto bene e si riprenderà, se domani si sveglia.
Si passò la mano sulla faccia.
- Ho visto Thorton e i suoi cazzo di capelli rossi-- erano i picchiatori di Reyes. Deve aver sentito che stavamo organizzando oggi. 
Cristo, lo dissero tutti a turno, mentre Alan passava in rassegna le facce pallide di ognuno, col verme della sconfitta che gli ribaltava lo stomaco. Quando Jules tornò a parlare, gli occhi gli si illuminarono.
- Andiamo avanti lo stesso.
Cosa?, chiese Fred.
- Lo facciamo lo stesso, per Rick. Per quando si sveglia. 
Per quanto non fossero le giuste motivazioni, erano anche le motivazioni che nessuno avrebbe mai rifiutato. La tenacia che bruciava sul fondo scuro dello sguardo della seconda Bernard, una diciottenne sottile con lunghi capelli bruni, era sufficiente a far vergognare tutti loro di qualsiasi defezione di azione o sentimenti: si sparsero presto nella folla, per avvisare che lo sciopero sarebbe iniziato lo stesso, che si sarebbero lo stesso incatenati ai cancelli.

Si incamminò anche Jules, ma Alan la prese per un braccio e se la avvicinò al busto, per poterle guardare il viso dall'alto verso il basso.
- Hanno preso anche te.
Le sfiorò il labbro spaccato con una nocca, delicatamente, nello sguardo chiaro incastrato un sorriso sofferente, desolato.
- E' stato mio padre. Dice che quando Richard si sveglia dà il resto pure a lui.
Alan rise piano. Jules accennò un sorriso sfuggente, che le fece male alla bocca. Scrollò le spalle e fece un passo di lato, piena di disagio buono, pronta a smarcarsi.
- Aspetta. 
Alan mise le mani in tasca e frugò. Estrasse poco dopo un pugno che schiuse di fronte a lei: sul palmo, una spilletta di metallo dipinto e lavorato per rappresentare una rosa nera su uno stelo sottile, con tre spine: il simbolo del primo circolo anarchico di Dane End, a sud. Lei la prese con la stessa cautela con cui si prende qualcosa che potrebbe esplodere da un momento all'altro.
- Solo per i veri rivoluzionari.
Lei gli puntò gli occhi contro, un attimo prima che lui le sfiorasse una guancia con il pollice e indietreggiasse, lasciandola libera.
- Andiamo a far tremare la terra sotto i piedi di questi stronzi, adesso. 

his ghosts sing to him


Tulsa, Bullfinch, 28 Dicembre 2516

Quando varcò la soglia della vecchia casa di legno e mattoni in cui i Quinn vivevano da quasi quarant'anni, Benedict era già tornato da scuola e si era messo a fare i suoi esercizi di grammatica, in attesa che il pranzo fosse pronto. Era un ragazzino sottile, con i vestiti sempre troppo abbondanti e due occhiali spessi senza i quali non riusciva a vedere niente. Aveva quasi nove anni, ma non li dimostrava. Non alzò neanche la testa per salutarla.

Lei lo superò in silenzio e andò a sporgersi sul pentolone in cui Olivia stava gettando verdure tagliate a cubi grandi e qualche avanzo di carne di quelli più economici che si poteva sperare di trovare al mercato. Le sorrise e, senza fermarsi, le indicò lo sgabello accanto al suo. Jules, che non era ancora sicura di essersi svegliata dalla notte precedente e voleva soltanto infilare le mani in mezzo al fuoco, obbedì docilmente: si sedette accanto a lei e iniziò a fare a cubi grandi chili di verdura. Rimasero in silenzio a lungo, poi Olivia fece un cenno col capo verso Benedict.
- Il maestro dice che si impegna tanto, che potrebbe continuare a studiare, poi. Ci è andata a parlare Beth.
- E' un ragazzino in gamba.
- Ci doveva andare Brandon, non Beth. 
- Aveva da fare?
- Quello che fa sempre. Parlare coi morti.
Parlavano a voce bassa. Jules teneva gli occhi sulle proprie mani. Ogni tanto il coltello le sfuggiva e le scorticava superficialmente la pelle, ma non le faceva mai davvero male. Fare lavori con le mani l'aveva sempre tranquillizzata: poteva contarsi le dita tutte le volte che voleva. 
- Sta scrivendo, dice... non parla con i morti, Olivia: non è pazzo.
- E che fa allora? Se ne va in giro per cimiteri come un'anima in pena, ogni momento che ha. Va avanti da un anno, e prima dicevo: gli passerà. Non gli è passata. Quello che è successo è stato duro da reggere per tutti... ma ci siamo ripresi. Beth si è ripresa. 
- Beth non pronuncia più il suo nome.
Non dovette alzare lo sguardo per indovinare l'arco stupito delle sopracciglia di Olivia e le rughe profonde che le stava disegnando sulla fronte. Rimasero in un silenzio sospeso per qualche istante, prima che Jules si arrendesse a spiegarsi.
- Mi dice tuo marito. Non le sento dire Bastian da quando è morto.
- Ognuno guarisce a modo suo, bambina.
- Brandon sta guarendo così.
- Brandon ci sta mettendo troppo tempo, e ha altre responsabilità.
Olivia alzò appena la voce, spazientita, e Jules voltò il capo per guardare le spalle esili di Benedict ingobbirsi e chiuderlo in un uovo di ostinata inconsapevolezza: il bambino aveva sentito quei discorsi mille volte prima di allora, e ogni volta aveva finto di non capire che parlassero di lui e di suo padre: un uomo assente che, dopo la morte di suo zio e di sua madre, vedeva per pochi istanti al giorno, a volte neanche tutti i giorni.
- Potresti parlarci tu... 
Ritentò Olivia, più dolcemente.
- Non cambia.
- Ma provaci. Puoi?
Jules sollevò su di lei uno sguardo appannato ed esausto. Annuì molto piano, arrendevole, e tornò a tagliare patate. Olivia fece lo stesso ma con più calma. Si prese il tempo per guardarla, almeno un po'.
- Porti ancora la fede. 
Annotò Olivia, con un sorriso tiepido e un filo di apprensione malinconica nello sguardo. La banda di metallo lavorato stringeva l'anulare sinistro di Jules, nascondendo al suo interno un'incisione sottile.
- Solo quando sono qui.
Rispose quietamente. Olivia sospirò e annuì con rassegnazione, tornando poi a tagliare gli ortaggi a cubi grandi. 

pegasus in my arms



Tulsa, Bullfinch, 28 Dicembre 2516

Due ore dopo cena, Brandon sa sempre dove trovarla: è stato lui ad insegnarle dove trovare la legna asciutta per fare il fuoco nelle vicinanze della vecchia torre di mattoni dove, prima della guerra, andavano a cantare insieme. Quando gli eventi permettevano a tutti loro di trovarsi a Tulsa nello stesso momento, aspettavano che Olivia si addormentasse e poi scivolavano via dalle finestre come gli adolescenti, svegliavano i cavalli e galoppavano fin lì. Fino alla vecchia torre in mattoni diroccata. Brandon lasciava Aurore a casa, Bethel portava ogni tanto Matt e Bastian strofinava le nocche contro la fronte di Jules, insegnandole parole magiche per scongiurare le maledizioni. Vivete di superstizioni su questo pianeta del cazzo, diceva lei, ma lo diceva ridendo, con il cuore mille parsec distante dalle fabbriche di Hexham e dal circolo anarco-rivoluzionario di Youngstown. Il cuore è ancora lontano da Hera, ma è lontano anche da Bullfinch e da Tulsa, dal Rose Ranch e dal Morgan River. E' lontano da Brandon, anche se lo può sentire arrivare alla vecchia torre, infilarsi oltre la porta scardinata, scivolare di fronte a lei, di fronte al fuoco, senza guardare troppo al lungo gli arnesi di tortura che giacciono tra la polvere e i ciuffi d'erba più aggressivi che sono riusciti a farsi spazio tra le spaccature della pavimentazione; senza guardare le costellazioni che si è aperta nelle braccia.
- Cristosanto, Jules...
 E' la prima volta che la chiama per nome da quando è tornata, e non è un caso che lo mormori quando lei non può sentirlo. Le osserva lo sguardo appannato perso nel fuoco, le pupille dilatate fino a rendergli difficile ricordare di che colore abbia gli occhi, il corpo sciolto e arreso, calmo. Lei respira lentamente e Brandon si tortura le mani nell'impazienza di vederla tornare lucida, pur sapendo di riuscire a starle accanto - a guardarla - solo in queste condizioni: quando lei non è davvero lì. 

Brandon Quinn è un uomo paziente, e se ha posti migliori in cui trovarsi, in quel momento, non sembra rendersene conto. Quindi rimane nella torre diroccata ad alimentare il fuoco perché nessuno dei due rischi l'ipotermia, e le permette di passare dall'oblio al sonno senza disturbarla.

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- Hai visto il lupo? 
Brandon riesce a riaversi seguendo il debole filo rosso della voce di lei. Solleva la testa dalle gambe su cui l'aveva poggiata, si passa entrambe le mani sulla faccia e ve le strofina sopra con vigore assonnato.
- Il lupo?
- Un lupo. E' entrato.
Lui si guarda attorno, sperando di venir sorpreso dalle fauci spalancate di un mastino impaurito rimasto incastrato nella torre. Ma non si sorprende quando non trova niente.
- Non c'è nessun lupo.
- Ora no. Prima.
- Avremmo sentito i cavalli.
- Non l'hanno sentito.
Deglutisce. Oltre la brace viva lasciata da un fuoco ormai spento, c'è la vedova di suo fratello che solleva il busto e si lecca labbra incrostate di fuliggine. Scuote il capo e si tiene nel petto un nodo di angoscia profonda, desolata.
-  Vieni, ti riporto a casa.
Lei è troppo stordita per protestare, e ha troppo freddo per pensare che togliersi da lì sia meno che una buona idea. Si tira su a fatica, ma prima di andare via si assicura di aver sepolto la brace sotto la cenere.