[Il foglietto proviene dal taccuino che tiene in tasca solitamente. I margini sono vittime dello strappo deciso. Infila le parole sotto la porta della cabina di Jules. La calligrafia è semplice, tipica di un'autodidatta. Sono pensieri, flusso di coscienza. Un ringraziamento.]
Le torri di lancio erano ormai in disarmo, protese senza più forza verso orbite morte, sorrette appena dalla volontà del metallo contro il cielo incandescente del domani. I miei pensieri ultrasonici continuavano a iterare la loro gara con la morte, una corsa infinita contro il tempo tra le ombre proiettate dal Pod Zero. Sulle direttrici spinali avvampavano rune e ideogrammi, geroglifici di una razza di pirati. E di notte, tra le carcasse di giganti arenati su spiagge intrise di radiazioni, mi fermavo in ascolto. Ora, gangli interstellari in disuso continuano a ricamare trappole neurali, collegano città pulsanti come organi vivi con hangar abbandonati in periferie corticali. Bruciano i manifesti agli angoli delle strade e sulle superfici di architetture sepolte. Esplodono le palpebre di Ryan, le dune epidermiche di Christopher – pioggia di parole su Tilda – Corona, Hera e Xanto sfumano nel clangore delle lamiere. E noi seguiamo le impronte lasciate ai bordi delle rampe deserte di Capital City, sulla spiaggia terminale che abbraccia il panorama in codice del 'Verse e lo espone, nudo, allo sguardo nostro. Scandagliamo l’orbita bassa a caccia dei relitti aerospaziali del nostro presente. Ancora adesso nella notte ristagna l’eco elettromagnetica di galassie perdute. Io vivo di nuovo nelle voci di Ehecatl e Tonatiuh. La violenza degli occhi di Jules dice RESTA. Io resto con lei.
Io sono il Macchinista.