yet onward we marched

15 Luglio 2515, Rose Ranch, Bullfinch.

Era una casa piccola e se avessero deciso di avere dei figli presto non ci sarebbero entrati. Erano solo le cinque e mezza di mattina e faceva già caldo. Jules era seduta sul davanzale dell'alta finestra della sala da pranzo, spalancata su una veranda stretta che riusciva a stento ad ospitare un dondolo. Lei e Bastian avevano considerato la possibilità di espanderla, ma avevano infine valutato che sarebbe stata solo una sistemazione temporanea, che più in là avrebbero messo qualche soldo da parte e avrebbero comprato uno di quei lotti di terra che Eric Rose metteva in vendita ogni tanto, e là avrebbero costruito la loro vera casa, magari più vicina a Tulsa e alla famiglia Quinn di quanto non fossero in quel momento. Jules gli aveva detto di sì, come faceva sempre quando lo vedeva entusiasmato dai progetti futuri, ma quella minuscola casa di tre stanze non le dispiaceva: aveva soffitti alti nonostante tutto, e affacciava su immensi campi dorati, paesaggi ondulati su cui sorgeva ogni mattina un sole cocente. Lei aspettava ogni volta che arrivasse a baciarle il viso. Era ormai abituata a sentirne il tepore sulla pelle e si accontentava di quell'angolo di pace immensa, chiedendosi se Frank non parlasse di quella sensazione là quando diceva che il tramonto sulla Trinidad, a Shadetrack, era capace di spalancare a Dio l'anima di anche il più efferato dei miscredenti. Ma tutta la genìa che a Frank Bernard era seguita aveva le sue radici nei terreni brulli di Hexham, nelle sue altre fabbriche, e aveva coltivato l'ateismo con (paradossalmente) la più spontanea e feroce delle fedi ideologiche. I giovani Bernard non credono a niente, dicevano i loro compagni di sventura in fabbrica, solo alla rivoluzione

Jules sorseggiò il caffè mentre il sole le si arrampicava sulla gamba, illuminando la tela leggera ed economica prodotta molto più a sud del Morgan River. Avevano davvero creduto solo alla rivoluzione, tutti loro, e dietro alla rivoluzione si erano immolati uno a uno, sacrificandole tutta la loro giovinezza, gli anni migliori della loro vita. Chiuse gli occhi e tentò di ricordare cosa si provasse a credere a qualcosa con quell'aggressività brutale, con quel desiderio famelico e spietato di giustizia, uguaglianza, libertà. Aveva mai odiato un nemico con la stessa genuina rabbia con cui aveva odiato i padroni delle fabbriche del complesso di Youngstown? Per cinque anni aveva combattuto contro gli alleati senza riuscire mai a desiderare la morte dei soldati che le sparavano contro, ma Shore, Grasdale, Reyes, Holden: loro li avrebbe potuti ammazzare tutti i giorni senza un filo di rimorso, se solo ne avesse avuto la possibilità, allora. Ma anche quell'odio si era ormai dissipato: la guerra era alle spalle, e lei era pronta a invecchiare con un uomo onesto al suo fianco.

Così aveva pensato, almeno, finché ciò che aveva temuto dai primi trattati non si era realizzato: Polaris si era dichiarato indipendente, costituito in Confederazione aveva cacciato gli invasori reclamando le proprie terre. Mentre l'intero Rose Ranch aveva passato la notte a festeggiare (e Bastian con loro) lei aveva bevuto vino fino a stordirsi, cercando di non sentire l'ombra lunga di John Roscoe che calava su di lei, minacciando di sottrarle di nuovo tutto ciò che aveva ricostruito con tanta fatica. Tutto ciò che le era caro.

Bastian la raggiunse ciondolando ancora confuso dall'ubriacatura della notte prima: lei poté sentirlo distintamente dal passo incerto a piedi nudi, dall'irregolarità del respiro stanco e, infine, dell'onda di profumo alcolico che le si abbatté addosso quando lui le cinse il busto con le braccia e strofinò la fronte contro l'incavo della sua spalla, facendole il solletico con la barba tenera. A quel punto, il sole era arrivato a riscaldarle il sorriso.
- Non credo che nessuno andrà a lavorare, oggi.
- Resti qui con me?
- Pensavo di scendere in città, vista la giornata libera.
- A fare cosa?
- Voglio mandare dei soldi a mia madre.
- Glieli hai mandati tre settimane fa.
- Ma ho lavorato di più, questo mese.
- Resti qui con me?
Bastian glielo ripeté languidamente sulla pelle, baciandole il collo e prendendole tra i denti il lobo dell'orecchio, come una molesta bestiola selvatica. Jules rise, fece scivolare una gamba oltre il davanzale per fargli posto, si liberò dai suoi denti e gli strofinò il naso contro il suo.
- Giurami che non andrai in guerra.
- Non ci sarà nessuna guerra, Jules.
- Giurami che non ti arruolerai. 
- Resti qui con me?
Jules gli premette la fronte contro, spingendolo indietro e indietreggiando anche lei per reclamare il suo sguardo con una fermezza crucciata, irrequieta. Bastian rimase per un po' appeso al suo sguardo, con le labbra schiuse e l'alcol ancora ad appannargli la visuale.
- Te lo giuro.
Concesse poco dopo, con un sospiro rassegnato. Poi si spinse in avanti, insinuando il naso tra i capelli di sua moglie per reclamare la sua simpatia, il suo affetto. Per Bastian Jules aveva sempre avuto un debole, e a Bastian aveva sempre finito per concedere tutto. Alla fine, quel giorno, gli disse che sarebbe rimasta lì, con lui.